martedì 1 febbraio 2011

Perchè l’uomo beve il latte vaccino? L’uomo è l’unico essere vivente che assume latte dopo lo svezzamento

L’uomo è l’unico essere vivente che assume latte dopo lo svezzamento

è l’unico essere vivente che assume il latte di un altro mammifero.
Perchè l’uomo beve il latte vaccino?
In questo articolo cercheremo di mettere in evidenza le contraddizioni che accompagnano il consumo di uno degli alimenti più amati e diffusi al mondo e dei derivati dell’industria casearia. Ci serviremo di passaggi logici e intuitivi, di dati oggettivi e di argomentazioni ancora troppo poco diffuse.
COS’E’ IL LATTE?
La Natura ha dotato i mammiferi di ghiandole mammarie in grado di secernere e fornire ai propri cuccioli un liquido, il latte, necessario a garantire al ‘lattante’ tutte le sostanze nutritive di cui ha bisogno nella primissima parte della propria vita.
La stessa Natura, sapientemente, ha assemblato per ogni specie una specifica formulazione di questo super-alimento.
Il latte dei primati è prevalentemente acquoso e povero di grassi e proteine; un alimento adatto alla relazione di stretta dipendenza madre-neonato e a poppate molto frequenti e di modesta entità.
Il latte di tutti gli altri mammiferi è caratterizato da una densità alta e un contenuto proteico e lipidico molto elevato; questo trova spiegazione col fatto che le mamme si distaccano immediatamente dal cucciolo e passano la maggior parte del tempo distanti.
Per cui nei brevi intervalli in cui si ricongiungono con il neonato devono erogare molta energia (che faccia anche da riserva) e saziarli in breve tempo.
Dopo lo svezzamento le ghiandole mammarie cessano naturalmente di produrre latte e il piccolo può cominciare progressivamente ad assumere gli alimenti adatti biologicamente alla propria specie.
Con l’interruzione dell’allattamento si riduce notevolmente anche la produzione di lattasi, enzima che consente di digerire il lattosio contenuto nell’alimento. La ‘lattasi-insufficienza’ è quindi responsabile della elevata quantità di intolleranze al lattosio.
Nessun mammifero in Natura prosegue a bere latte dopo lo svezzamento, tantomeno quello di altre specie.
Nessuno tranne l’uomo!
Il quale, oltre a continuare ad alimentarsi con una sostanza da neonati, lo fa consumando in abbondanza latte di mucca e formaggi, alimenti caratterizzati da una composizione sbilanciata per le necessità umane: in eccesso di proteine, grassi saturi, calcio, sali minerali e con rapporti svantaggiosi tra qualità di proteine e calcio/fosforo.
Non a caso il latte vaccino è destinato a far sviluppare un vitello fino al peso di 300 kg in pochi mesi!
Il LATTE FA BENE ALLE OSSA?
Una delle leggende metropolitane sul latte più radicate e dure a morire è quella secondo cui il latte (e i formaggi, grana padano o parmigiano in testa) sia necessario all’alimentazione umana perchè ‘”fa bene alle ossa”.
Consigliatissimo ai bambini per crescere bene, agli adulti per prevenire l’osteoporosi, a chiunque perchè si tratta di un alimento ‘completo’!
Vediamo ora perchè le cose non stanno esattamente così.
Un classico esempio di plagio mediatico
Si tratta, nel solco della miglior tradizione manipolatoria, del classico esempio di sovvertimento della realtà.
Il latte contiene, come una miriade di altri alimenti, buone quantità di calcio. Ora, uno dei più importanti fattori nella perdita di calcio sono le diete sbilanciate sulle proteine (in particolare di origine animale), di cui il latte è ricco: il metabolismo delle proteine del latte determina infatti il ‘sequestro’ di quantità di calcio dalle ossa superiori a quelle apportate.
Questa dinamica elementare spiega perchè in paesi dove il consumo di latte è modesto o assente non si conoscono malattie come l’osteoporosi mentre nei paesi dove se ne fa largo uso l’osteoporosi colpisca con incidenza elevata.
Questa del sequestro del calcio è una caratteristica peculiare connessa all’assimilazione di proteine di origine animale e pertanto va associata anche al consumo di carne e pesce.
E così, ancora una volta, si rivela molto più importante evitare le ‘dispersioni’ piuttosto che aumentare l’apporto di calcio.
Si può quindi dedurre che il mantra che abbiamo sentito ripetere infinite volte, secondo cui “il latte fa bene alle ossa”, si rivela quantomeno azzardato. Numerosi studi (in calce all’articolo una significativa bibliografia) lo confermano nonostante sul ‘fronte’ medico accademico continui a perdurare un assordante e colpevole silenzio in materia.
Tornando al nostro funzionamento, il ‘debito’ generato quotidianamente dall’assunzione di proteine animali può esserre compensato fino all’incirca ai 35-40 annidi età dal metabolismo. A partire da questa età però la quantità di calcio richiesta dall’organismo dall’esterno è maggiore ed è necessario limitarne il più possibile le perdite.
Una vita sana, il movimento fisico regolare e un’ alimentazione naturale equilibrata garantiscono il mantenimento dello stato di salute e un’eccellente prevenzione contro l’osteoporosi.
Ma se elimino il latte, da quali alimenti lo prendo il calcio?
Il calcio è presente ovunque, nell’acqua che beviamo ad esempio. Le erbe officinali sono ricchissime di calcio (salvia, rosmarino, basilico). Cereali e pane integrali, verdura e legumi, semi oleosi contengono mediamente più calcio di quanto ne contenga il latte!
Del calcio (così come delle vitamine) bisogna preoccuparsi esclusivamente se si è soliti consumare regolarmente proteine di origine animale: latticini, carne e pesce.
C’è anche da sottolineare che un organismo sano è in grado di mantenere in equilibrio la concentrazione di calcio indipendentemente da quanto se ne assume.
Per alcuni ricercatori esiste concretamente la possibilità di una sintesi, o meglio, di una trasmutazione grazie alla quale si produrrebbe la trasformazione di un elemento tra quelli disponibili in calcio.
A questo proposito si legga l’interessantissimo articolo pubblicato su Disinformazione, Louis Kervran: storie di ordinaria…rimozione; si tratta in ogni caso di evidenze che la ‘scienza’ non può ne vuole ancora prendere in considerazione.
IL LATTE E’ UN ALIMENTO DIGERIBILE?
Il ‘cucciolo’ d’uomo dal momento dello svezzamento smette di produrre lattasi, l’enzima necessario alla digestione del latte. Da quel momento non ne sintetizzerà più per tutta la sua vita e perderà quindi la capacità di digerire in modo appropriato il latte di qualsiasi altra specie animale.
Questo dato di fatto è alla base di molti disturbi connessi al consumo di latte: coliti, disbiosi intestinali (e conseguente malassorbimento dei nutrienti e depressione del sistema immunitario), intolleranze e allergie.
Si stima che più di 2/3 della popolazione mondiale (c’è chi dice anche 3/4) sia intollerante a questo ‘non alimento’ e una proporzione anche più elevata presenti problemi di salute riconducibili al consumo di latte.

IL LATTE FA BENE ALLA SALUTE?
Detto delle ossa, del calcio e dell’osteoporosi poco sopra, elenchiamo brevemente altri problemi di salute riconducibili al consumo abituale di latte.
Carenze di ferro: il latte è responsabile di perdite ematiche nel sistema digerente.
Grassi Saturi: il latte contiene grassi saturi difficili da smaltire e colesterolo che affaticano le funzionalità di fegato, cistifellea, cuore. Può quindi favorire l’insorgenza di arteriosclerosi, eczemi, otiti, sinusiti, perdite vaginali, catarro, muco, cellulite e cisti.
Coliche addominali, diarrea e stitichezza: responsabili di malassorbimento dei nutrienti presenti nel cibo che mangiamo, disidratazione e astenia, asma e problemi cutanei.
Disbiosi intestinale: frequente nelle diete ad elevato tenore di proteine animali, inficia notevolmente le capacità di difesa del sistema immunitario.
Allergie: il latte è uno dei più diffusi allergeni rilasciando durante la digestione quantità elevatissime di antigeni responsabili di allergie.
Diabete: anticorpi contro proteine del latte vaccino sono responsabili della distruzione di cellule beta pancreatiche che producono l’insulina.
Cancro: la presenza dell’ormone della crescita IGF-1 sembra essere in relazione con l’accrescimento rapido di masse tumorali.
Acidosi metabolica: un’alimentazione ricca di proteine animali predispone a questa condizione dannosa per tutte le funzioni vitali; un ‘terreno’ acido predispone all’insorgenza di patologie acute, croniche e degenerative. Anche un eccesso di proteine vegetali è responsabile di stati di acidosi.
Infine il latte da produzione intensiva veicola notevoli quantità di sostanze tossiche:
- farmaci di ogni tipo, in prevalenza antibiotici, cortisonici, anabolizzanti, antidolorifici, antidiabetici;
- ormoni della crescita;
- liquidi organici quali sangue, feci e pus;
- sostanze di sintesi assimilate con i mangimi quali diserbanti e pesticidi.
Si stima che in Italia una percentuale compresa tra il 20% e il 40% di mucche venga ‘dopata’ illegalmente per tutto l’arco della propria esistenza per evitare di contrarre malattie e produrre più latte. Questo tipo di trattamento intensivo accorcia notevolmente la vita del bovino e mette seriamente a rischio la salute di chi, in buona fede, ne berrà il latte.
L’INDUSTRIA ‘DOPATA’ DEL LATTE
Uno sguardo disincantato sul processo produttivo del latte, affermatosi anche in Italia nella seconda metà del ’900 sulla base dell’esempio degli allevamenti intensivi americani e ben lontano dalle immagini distorte della pubblicità in cui si propinano immagini di felici bovini al pascolo.
Le mucche, tipico esempio di animale da ‘reddito, sono allevate con metodo intensivo e costrette a produrre fino a 10 volte la quantità che la Natura ha previsto per alimentare il proprio vitello. Per aumentarne la produttività vengono alimentate con ‘bombe’ proteiche (innaturali per degli erbivori) e imbottite di farmaci quali antibiotici al fine evitare di contrarre mastiti e altre malattie conseguenti lo stress cui vengono sottoposte. Capitolo a parte merita il Posilac, o somatotropina bovina ricombinante, ormone della crescita modificato geneticamente prodotto da una delle aziende più criminali del pianeta: Monsanto. Attualmente è utilizzato negli Stati Uniti mentre è vietato in Canada, Europa e numerosi altri paesi, sebbene Monsanto spinga periodicamente per invadere anche queste aree.
Ciononostante esiste un ‘antidoping’ anche per le mucche nostrane e i risultati sono tutt’altro che rassicuranti: l’elenco dei farmaci e delle molecole proibite riscontrate ricorda un prontuario farmaceutico e l’utilizzo del Posilac (facilmente reperibile da oltreoceano o dai paesi dell’estremo oriente) è dato per certo. La percentuale di bovini dopati si attesta tra il 20% e il 40%. Per tutti gli altri è comunque consentito l’uso di farmaci entro certi limiti. Morale: tutte queste sostanze finiscono anche nei prodotti finiti: latte, carne, formaggi.
Tornando all’allevamento, in queste condizioni di stress la vita media di una mucca da latte non supera i 6 anni di età, la stessa mucca al pascolo vivrebbe intorno ai 20 anni.
Un altro aspetto agghiacciante è quello relativo al destino dei vitelli, strappati letteralmente al seno della propria madre per evitare che ne sugga il latte e costretti a vivere in gabbie strettissime e ad alimentarsi con una dieta insufficiente in modo da renderli anemici e ottenere così carni più chiare e sfibrate (tenere…), tanto richieste e amate dai consumatori.
ALLORA, PERCHE’ L’UOMO BEVE LATTE DI MUCCA?
Nell’immediato dopoguerra un’imponente, continua, assillante campagna mediatica ha reso il latte vaccino il prodotto che conosciamo oggi.
Fino ad allora veniva consumato saltuariamente e i formaggi erano prevalentemente ovini.
L’importazione del modello di allevamento intensivo dagli Stati Uniti d’America fece intravedere guadagni prima impensabili ai produttori e determinò la necessità di ‘creare’ un popolo di consumatori. Si fece così una propaganda senza precedenti a favore di un alimento coinvolgendo i mezzi di comunicazione e la classe medica, che fu indottrinata a dovere.
Ancora oggi molti medici, noncuranti del progresso compiuto dalle ricerche che ribaltano tutti i dogmi calati dall’alto, sono soliti suggerire per piccoli e adulti l’assunzione regolare di latticini come base di un’alimentazione corretta. Il caso dell’osteoporosi è persino imbarazzante e sintomatico di un modello di formazione obsoleto e di un’attitudine presuntuosa (o, siamo sempre li, interessata: più malati più soldi).
Oggi l’industria del latte è un carrozzone che fatica a mantenersi in piedi, specialmente in Italia, per il sovradimensionamento e la contemporanea presenza delle quote latte. Succede così che, paradossalmente, importiamo latte da altri paesi. La qualità è sempre più scadente, e non potrebbe essere altrimenti. Inoltre consapevolezze come quelle che state leggendo in questo articolo sono sempre più diffuse e prese in considerazione.
Ma gli interessi economici di un’industria così importante non guardano in faccia a niente, tanto meno alla salute e al benessere dei consumatori. La ‘baracca’ deve andare avanti e ingenti somme di denaro pubblico vengono periodicamente sottratte alle casse dello stato per finanziare questo mercato.
Da non sottovalutare l’aspetto ‘dipendenza’. Questo è dovuto alla presenza di polipeptidi in grado di stimolare la produzione di endorfine in grado di indurre una sensazione di benessere.
Esiste inoltre un importante aspetto affettivo di dipendenza alimentato dallo stesso fatto di prolungare oltre l’età neonatale l’assunzione di ‘liquido materno’. Il non saper fare a meno di latte in età adulta influisce anche a livello psichico ad alimentare forme di dipendenza.
Principali riferimenti bibliografici.
Visto che l’argomento è molto delicato e che mettere in dicsussione il latte è atto ai limiti dell’eresia, visto che potrà capitare di ricevere sberleffi se non addirittura insulti… Dovrete rendere conto di quanto affermate e dovete, in fin dei conti, anche a voi stessi un minimo di verifica e di supporto scientifico.
Chiudiamo quindi con una breve ma significativa carrellata di riferimenti bibliografici.
La fonte è uno dei nostri riferimenti assoluti, PubMed, una delle librerie più fornite e autorevoli di pubblicazioni in ambito bio-medico a livello mondiale.
- Sellmeyer DE, Stone KL, Sebastian A, Cummings SR A high ratio of dietary animal to vegetable protein increases the rate of bone loss and the risk of fracture in postmenopausal women. Study of Osteoporotic  Fractures Research Group, Am J Clin Nutr 2001 Jan; 73(1):118-22
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- Kanis JA, Johansson H, Oden A, De Laet C, Johnell O, Eisman JA, McCloskey E, Mellstrom D, Pols H, Reeve J, Silman A, Tenenhouse A A meta-analysis of milk intake and fracture risk: low utility for case finding, Osteoporos Int. 2004 Oct 21; [Epub ahead of print]
- Frassetto LA, Todd KM, Morris RC Jr, Sebastian A. Worldwide incidence of hip fracture in elderly women: relation to consumption of animal and vegetable foods, 2000 Oct;55(10):M585-92.
- Hegsted DM. Fractures, calcium, and the modern diet, Am J Clin Nutr. 2001 Nov;74(5):571-3
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- Zemel MB, Schuette SA, Hegsted M, Linkswiler HM Role of the sulfur-containing amino acids in protein-induced hypercalciuria in men, J Nutr 1981 Mar;111(3):545-52.
- Hegsted M, Schuette SA, Zemel MB, Linkswiler HM Urinary calcium and calcium balance in young men as affected by level of protein and phosphorus intake, J Nutr 1981 Mar;111(3):553-62.
- Zemel MB: Calcium utilization: Effect of varying level and source of dietary protein.Am J Clin Nutr 1988; 48: 880-883. -Linkswiler HM, Zemel MB, Hegsted M, Schuette S: Protein-induced hypercalciuria. Fed Proc 1981; 40: 2429-2433.
Andrea Vitali
Fonte:
Il Sentiero della Natura http://www.ilsentiero.net/
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